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    Tutti bocciati al test dei voti assoluti: centrodestra giù di 1,2 milioni, Pd vicino al minimo.
    L’astensionismo dilagante che per la prima volta alle Europee di sabato e domenica ha portato sotto al 50% il tasso di partecipazione a un’elezione...
    Tutti bocciati al test dei voti assoluti: centrodestra giù di 1,2 milioni, Pd vicino al minimo.
    L’astensionismo dilagante che per la prima volta alle Europee di sabato e domenica ha portato sotto al 50% il tasso di partecipazione a un’elezione nazionale prosciuga il consenso di quasi tutti i partiti; e restituisce l’immagine di uno scenario politico dominato dalla competizione di fazioni sempre più polarizzate, ma anche sempre più ristrette.
    I numeri assoluti dei voti, dato spesso trascurato per ovvie ragioni da un dibattito politico che non ha troppa voglia di misurare la capacità effettiva di incisione dei partiti sul complesso della società italiana, lo mostrano con una certa efficacia. Nel 2009 il Popolo della Libertà di un Silvio Berlusconi appena tornato per la terza volta a Palazzo Chigi dominò le Europee raccogliendo 10,8 milioni di voti. Cinque anni dopo il trionfo, poi rivelatosi effimero, di Matteo Renzi raccolse intorno al Partito democratico 11,2 milioni di voti (che gli valsero la percentuale record del 40,8% ma erano comunque un milione in meno dei voti raccolti al debutto del Pd dal Walter Veltroni sconfitto alle politiche del 2008); nel 2019 furono 9,2 i milioni di voti che spinsero il segretario della Lega Matteo Salvini a tentare il colpo di mano con l’obiettivo di raccogliere alle politiche anticipate i “pieni poteri” che gli furono negati dall’operazione Conte-2. Sabato e domenica per primeggiare nettamente a Fratelli d’Italia sono bastati poco più di 6,7 milioni di voti, che sono quasi 600mila in meno (-7.9%) rispetto a quelli raccolti alle ultime politiche ma trasformandosi in una percentuale del 28,8% (contro il 26% di due anni fa) rinforzano l’idea della vittoria. L’evaporazione del bacino elettorale aiuta anche Forza Italia, che in alleanza con Noi Moderati perde poco meno di 300mila voti rispetto alla somma dei due partiti alle politiche del 2022, e la Lega, che ne lascia sul terreno 350mila ma mantiene le percentuali di due anni fa. In totale, il centrodestra cede oltre 1,2 milioni di voti rispetto al 2022.
    Anche dalle parti del Partito Democratico i voti assoluti raccontano una storia dai toni diversi da quelli che hanno vivacizzato le reazioni ai risultati del fine settimana. I Dem, è vero, aumentano di circa 300mila i voti raccolti alle politiche del 2022, che però rappresentavano di gran lunga il minimo storico del partito. Che con i poco più di 5,6 milioni di elettori convinti alle politiche resta sotto la soglia dei 6 milioni, per la prima volta a un’elezione europea e per la seconda volta nella storia. Le Europee del 2019, archiviate dal gruppo dirigente Dem come una pratica tutt’altro che esaltante nel difficile lavoro di ricostruzione post-Renzi, vide arrivare al Nazareno poco meno di 6,1 milioni di voti, che nonostante la percentuale (22,7%) erano circa 100mila in meno rispetto a quel 18,76% delle politiche 2018 considerato il “minimo storico” dei Dem.
    Tra i tanti “vincitori” di domenica, quindi, solo Alleanza Verdi e Sinistra ha tutte le carte in regola per suonare la grancassa: perché gli 1,6 milioni di consensi segnano un aumento di quasi 600mila unità rispetto al 2022, cioè il triplo delle 176mila preferenze raccolte da Ilaria Salis al cui “effetto” molti commenti attribuiscono quasi integralmente il salto compiuto dall’Alleanza.
    La diserzione semi-generalizzata delle urne ha invece l’effetto opposto sul versante degli sconfitti, di cui moltiplica l’intensità del tracollo. È il caso prima di tutto del Movimento 5 Stelle, che con i 2,3 milioni di voti di domenica perde due milioni di elettori rispetto alle politiche del 2022 e altrettanti rispetto alle Europee del 2019, mentre il confronto con le politiche del 2018 segna un imponente -8,4 milioni. Nella minigalassia del centro riformista il paragone è solo leggermente più complicato dalla girandola di alleanze e litigi: in ogni caso la triade Bonino-Calenda-Renzi ora si è fermata a quota 1,7 milioni di voti: cioè poco più della metà dei 2,98 milioni ottenuti meno di due anni fa alle politiche.
    In conclusione, una misura del rapporto sempre più complicato tra i partiti e la società italiana può essere offerta dalle percentuali di voti ottenuti in rapporto al totale degli italiani con diritto di voto. In questo calcolo, FdI si attesta al 13,1%, seguita dal Pd all’11%. Il Movimento 5 Stelle, con il 4,6%, è tallonato da Forza Italia al 4,4%, mentre la Lega segue al 4,1%. Alleanza Verdi e Sinistra, l’unico trionfatore vero di questo turno elettorale come accennato sopra, non va comunque oltre il 3,1%, quasi doppiando Stati Uniti d’Europa all’1,7% mentre Azione arriva all’1,4%. Percentuali indigeste, tutte, a qualsiasi narrazione politica.
    1.   guarantors
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